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⸻ Come proteggere tuo figlio senza essere accusata di alienazione genitoriale?

  • Immagine del redattore: Freeda
    Freeda
  • 5 ago
  • Tempo di lettura: 3 min
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Quando una madre segnala disagi o paure del proprio figlio nei confronti dell’altro genitore, spesso si trova in una posizione delicata: da un lato il desiderio di proteggere il minore, dall’altro il timore di essere accusata di “alienazione genitoriale”. Ma cosa significa davvero proteggere un figlio? E come farlo in modo equilibrato, efficace e credibile agli occhi di un Tribunale?


In questo articolo vedremo come muoversi con lucidità, quali errori evitare e quali strumenti attivare, per garantire il benessere psicologico del minore senza incorrere in interpretazioni distorte del tuo ruolo genitoriale.





🔍 Cos’è l’alienazione genitoriale?



L’alienazione genitoriale è un concetto controverso, che indica un processo in cui un genitore, in modo intenzionale o inconsapevole, influenza negativamente il figlio nei confronti dell’altro genitore, fino a comprometterne il rapporto. Il minore può arrivare a rifiutare sistematicamente il genitore alienato, senza motivazioni sufficienti e con modalità rigide e polarizzate.


Nonostante l’uso frequente in ambito giudiziario, l’alienazione non è una diagnosi clinica riconosciuta nei manuali diagnostici (DSM-5 o ICD-11), e deve essere distinta da un rifiuto giustificato dovuto a comportamenti realmente dannosi o disfunzionali da parte dell’altro genitore (es. trascuratezza, aggressività, paura).





🧠 Rifiuto giustificato o alienazione?




La differenza è fondamentale.



Un bambino può legittimamente rifiutare un genitore quando:


  • Ha paura a causa di episodi di violenza o urla

  • Si è sentito trascurato, non visto o svalutato

  • Vive emozioni ambivalenti che non vengono accolte o comprese

  • Ha subito pressioni eccessive o un’eccessiva rigidità educativa



In questi casi, il rifiuto è un segnale di disagio, non un comportamento manipolato. E la madre che lo raccoglie non sta alienando, ma svolgendo il proprio ruolo protettivo.





✅ Cosa puoi fare (e dire) per proteggere tuo figlio in modo legittimo



  1. Ascolta, non condurre


    Evita domande suggestive o allusive. Lascia che sia il bambino a esprimere i propri pensieri, anche se confusi o contraddittori. Raccogli i suoi vissuti senza giudicare.

  2. Documenta con attenzione


    Se tuo figlio riferisce episodi gravi (urla, botte, paura), annotali con data, contesto e parole precise. Non creare un “dossier” emotivo, ma una cronaca concreta, utile in caso di richiesta di tutela.

  3. Evita di parlare male dell’altro genitore


    Anche se sei ferita o preoccupata, cerca di non denigrare il padre davanti al bambino. Puoi riconoscere la difficoltà (“So che non ti sei sentita bene”) senza attribuire colpe dirette (“È tuo padre che ti fa del male”).

  4. Rivolgiti ai professionisti


    Attiva servizi territoriali, sportelli famiglia, consultori o psicologi dell’età evolutiva. Chiedi un ascolto del minore da parte di un esperto, meglio se con esperienza in contesti di alta conflittualità.

  5. Coinvolgi il tuo legale in modo costruttivo


    Spiega con chiarezza cosa sta accadendo, evitando toni emotivi o eccessivamente difensivi. Il tuo obiettivo non è distruggere la figura paterna, ma fare emergere un disagio reale.






🚫 Cosa è meglio evitare



  • Tenere tuo figlio “fuori” da ogni contatto senza alcun passaggio istituzionale

  • Interrompere bruscamente gli incontri senza autorizzazioni o mediazioni

  • Attribuire etichette gravi (violento, tossico, abusante) senza prove concrete

  • Isolarti senza coinvolgere professionisti, mediatori o servizi




🎯 Quando chiedere una valutazione psicoforense



Se il conflitto è elevato e il disagio del minore è evidente, può essere utile richiedere una CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) o un parere psicologico di parte. Questo consente di dare voce al bambino in modo protetto, valutare le dinamiche familiari, e distinguere tra conflitto, rischio e alienazione reale.



🔚 In sintesi



💡 Proteggere tuo figlio non significa ostacolare il rapporto con l’altro genitore, ma vigilare sui suoi bisogni emotivi e relazionali.

💡 Evita di agire d’impulso o con rabbia: usa strumenti, parole e canali che ti permettano di essere credibile e tutelante.

💡 Non sei sola: esistono professionisti, servizi e percorsi dedicati a situazioni complesse come la tua.





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